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Comunicare e conservare la conoscenza

settembre 22, 2023

Opinione mia, stiamo confondendo due cose.
Comunicare “la speleologia” o qualsiasi altra cosa al pubblico è un mestiere difficile e diverso da creare la memoria della conoscenza.
A volte facciamo confusione fra diverse cose, perché richiedono tutte la trasmissione di informazioni.

Lascio perdere il concetto di speleologia, che non è per nulla univoco.
L’orario della grotta turistica è un’informazione speleologica?

PIPPONE Cap. 1



Fra il 1995 e il 2005 circa ho avuto come slogan personale: usciamo dal buco! Ovvero, portiamo “la speleologia” al pubblico, per fare sapere che esistono le grotte e gli speleologi. Poi mi è passata.

Comunicare qualcosa al pubblico è stato parte del mio lavoro fra il 2000 e il 2015, raccontavo l’idrobiologia. Nulla di ciò che ho prodotto in quei 15 anni è degno di essere conservato in una biblioteca. Semplicemente raccontavo a un pubblico di età 6 – 20 cose che si sapevano da molto tempo. Negli stessi anni ho marginalmente contribuito a incrementare ciò che si sa. Ci sono, in alcune biblioteche, una dozzina di lavori, magari non memorabili, ma sono dei -500 dell’idrobiologia (uno solo è quasi un -1000). Articoli che vengono citati da altri idrobiologi, ogni tanto, perché dicono (poche) cose nuove.

Non faccio confusione fra cronaca, divulgazione, documentazione, letteratura scientifica.

Se studiassi una regione del nDNA di una popolazione di Monolistra caeca julium e di una di Monolistra caeca caeca, stimando un’età della divergenza, pubblicherei su Journal of Evolutionary Biology. Non su Facebook, TikTok, Instagram, Scintilena, Sopra e Sotto il Carso, Cronache Ipogee, Talp, oppure Speleologia. Perché il mio lavoro sarebbe destinato a contribuire alla conoscenza della natura da parte dell’umanità, non a “comunicare la biologia”, ma a comunicare ad altri biologi cosa ho scoperto e dimostrato.
Qualcun altro racconterebbe al pubblico la scoperta, gli darei tutte le informazioni possibili e controllerei che non comunichi cah’ate.

PIPPONE Cap. 2

Fare sapere a Gigia che esistono le grotte, non è il lavoro di chi fa rilievi e misura temperature dell’aria. Non lo è punto e basta! Può esserci chi sa fare bene le due cose, ma in genere è un’eccezione. A me, che i ventenni leggano ciò che scrivo sulle grotte del Coglians, non me ne frega nulla. Ma se l’istituto scolastico del comprensorio mi chiede di raccontarlo agli alunni della primaria, lo faccio. Con modi e strumenti adeguati.

In Italia abbiamo una pubblicazione nazionale che riporta gran parte della cronaca; si chiama La Scintilena. È anche la faccia di un movimento, una comunità che si riconosce nell’essere speleo-qualchecosa. Se resterà traccia di ciò che viene pubblicato lì (perché viene tutto salvato e stampato), sarà molto utile in futuro per studi storici sulla comunità speleo dei primi decenni del XXI secolo. Ma non basta.
Servono, realmente, diversi strumenti per fare cose differenti. Non risali un pozzo usando il discensore (si può fare ma lo sconsiglio).

Se i giovani non leggono Scintilena, sticazzi. La leggono gli speleo attivi (e siamo 30 – 60 ormai) e un po’ di giornalisti.
Vuoi fare vedere grotte su TikTok e Ig? Va bene, ma è un altro lavoro. Vuoi una bella monografia sul Supramonte Orientale? È un’altra cosa ancora, come lo è un libretto da 30 pagine che parli degli stessi posti, ma va distribuito ai ragazzi 8 – 15 anni di Comuni di quella zona.

È diverso. Comunicare la speleologia è districarsi in una galassia. Forse la mappa stellare ce l’ha ancora Scatolini in un cassetto. Mica su TikTok, ostia! Conservare la conoscenza che è stata conquistata esplorando, misurando, ragionando, è qualcosa che richiede strumenti differenti.

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