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Mi presento

Gli speleologi mi chiamano Mayo, ma sono registrato all’anagrafe come Giuseppe-Adriano Moro. Sono nato ad Udine nel 1971, proprio quando mio padre stava concludendo la sua attività speleologica, che si era svolta fra gli anni 50 e 60 del secolo ormai passato.

La speleologia ha fatto sempre parte della mia vita, del mio immaginario infantile, così come la presenza degli speleologi fra gli amici di famiglia è stata una costante.
Sebbene abbia iniziato a “giocare allo speleologo” da piccolo, quando mio padre mi portava a fare battute di zona sulle Prealpi, insegnandomi a trovare i buchi, a sondare i pozzetti lanciando una pietra, non ho frequentato le grotte fino alla maggiore età. In effetti non amo i luoghi chiusi, peggio ancora se stretti.

Nel 1989, pochi giorni prima di compiere 18 anni, mi sono iscritto al XIV corso di speleologia organizzato dal Circolo Speleologico ed Idrologico Friulano, il gruppo speleo dove aveva militato mio padre. Lui non era a conoscenza questa mia intenzione, ma dovetti chiedergli di firmare per me la liberatoria, dato che in quel momento ero minorenne. Fu così che il 5 novembre 1989, accompagnato da Dino (Bernardo Chiappa, presidente del CSIF ed amico di famiglia) entrai dall’ingresso vecchio della Grotta Nuova di Villanova. Fu la mia prima volta con un casco e l’acetilene.

Il corso per me fu un po’ duro, dato che la paura (no, il terrore) per i passaggi stretti non mi ha mai abbandonato, ma fu formativo. Tecnicamente ottimo. Quando terminai il corso ero in grado di eseguire ad occhi chiusi (in senso letterale) il passaggio dei frazionamenti sia in discesa che in risalita, così come ero in grado di eseguire correttamente un guide con frizione e un bolina. Ma sapere salire e scendere lungo una corda non significa essere speleologi, né essere in grado di esplorare una grotta.

L’attività del CSIF negli anni fra 1990 e 1994 non era molto intensa. Gli attivi erano pochi e di giovani c’ero solo io. Gli esploratori degli anni ’80 iniziavano ad avere altro da fare nella vita (com’è ovvio) e l’attività languiva di conseguenza.

Nel 90 passai l’estate facendo alcune visite a grotte facili e note, poi cominciò una lunga frequentazione della grotta di San Giovanni d’Antro. Bellissima cavità, ricca di diramazioni e livelli, esplorata dal CSIF a partire da fine ‘800 e “fatta diventare grande” durante gli anni 70 ed 80 da quelli che rappresentavano la “generazione prima di noi”. Ad inizio anni ’90 c’era ancora qualcosa da vedere e frugando qua e là trovammo diversi cunicoletti, collegamenti fra rami, punti da risalire. Quella grotta fu una palestra che assorbì almeno tre anni della mia attività con visite molto frequenti.

Nel 1991 vidi per la prima volta il massiccio del Canin ed il bivacco Modonutti Savoia. Ne rimasi ovviamente impressionato, ma per mancanza di compagni quella zona era fuori dalla mia portata.
Nel 1992 misi gli occhi sulla zona sommitale della Creta di Aip (Alpi Carniche) ed insieme ad amici del CSC Lindner esplorai tre voragini. Una delle tre in effetti ha una prosecuzione possibile ed evidente, ma che richiedeva un po’ di lavoro sulla strettoia di accesso.

Le cose cambiarono con l’arrivo di nuove forze al Circolo. Divenuto aiuto istruttore iniziai a collaborare attivamente ai corsi di speleologia e, trovandomi a 21 anni nel ruolo di “esperto” (rabbrividisco al solo pensiero) potei iniziare a fare attività con nuovi soci. Gli anni passarono e onestamente non ho mai trovato “il buco giusto” in Canin. Nel frattempo ho ripreso in mano lo studio del massiccio del monte Coglians e della Crete da Cjanevate, ereditato in un certo senso da mio padre e da quelli della sua generazione. Si tratta di uno splendido gruppo montuoso delle Alpi Carniche, con quote sommitali sopra i 2500 m (il Coglians è alto 2780 m slm), formato da una serie di enormi blocchi di calcare di scogliera devonici. Queste antichissime rocce inghiottono una gran quantità di acqua che riemerge alla sorgente del Fontanon di Timau. Nemmeno qui, fino ad ora, abbiamo trovato l’ingresso giusto per accedere al percorso sotterraneo di quei torrenti che in superficie mancano completamente, ma siamo riusciti a dimostrare in modo inequivocabile la connessione idrologica fra la conca della Cjalderate e il Fontanon di Timau, un fatto che ritenevo quasi ovvio dal basso della mia ignoranza in fatto di geologia, ma che non lo era per nulla a quanto mi dicono i geologi.

Sono passati tanti anni e la voglia di infilarmi nei posti stretti non è aumentata con l’età e l’inizio degli acciacchi, ma la curiosità è rimasta immutata. Andare in grotta ci fa scoprire cose nuove innanzitutto per noi, a volte nuove per l’umanità.

Ho sempre avuto una passione per lo studio dei fenomeni naturali, tanto da studiare Biologia e laurearmi in Scienze Biologiche all’Università di Trieste nel 1997, ma stranamente non sono uno speleo biologo. Nel campo speleologico mi hanno sempre affascinato di più l’idrologia e la morfologia, forse per il loro diretto legame con l’attività esplorativa in senso stretto.

Da poco tempo ho iniziato a usare nuovi strumenti per lo studio “a tavolino” delle zone carsiche, in particolare i sistemi informativi territoriali (o GIS) che uso ogni giorno nel mio lavoro di biologo ambientale. La possibilità di gestire tutte le informazioni relative a cavità, quote, superficie della montagna, formazioni affioranti, fratture e faglie, posizione delle sorgenti è straordinaria. Qualche piccola soddisfazione me la sono già presa, indovinando la presenza di ingressi in alcune zone dove le battute “tradizionali” non erano state fatte.

Non ho mai amato i luoghi stretti, intesi sia come strettoie in grotta che come ambienti sociali chiusi. Sono troppo curioso per rimanere ancorato a un gruppo e a una città. Fu così che vivendo a Trieste iniziai a frequentare grottisti triestini e che grazie ai raduni speleo nazionali, primo fra tutti quello storico di Casola Valsenio, presi a tessere una rete di contatti speleo con gente da tutta Italia.

La curiosità per il mondo ipogeo mi ha portato a fare la conoscenza di zone carsiche anche fuori dalla mia regione, visitando grotte in Veneto, nelle Apuane e infine in Sardegna. Su quest’ultima arrivai tardi, nel 2012, attirato dall’enormità della Grandissima Frana nella grotta di Su Bentu. Quella visita mi permise di vedere luoghi straordinari e di incontrare speleo cui sono ormai legato da amicizia, oltre alla donna che mi ha guidato attraverso la grotta ed ha poi accettato di diventare mia moglie.

Dove andrò a finire ora non lo so. Si esplora, vedremo.

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