
Una visita primaverile alla Grotta Luigi Donini – Su Cunnu ‘e s’Ebba (424 Sa\Nu) – 30 aprile 2023
Sto parlando di una grotta fra le più celebri della Sardegna, molto amata sia dai locali che dai turisti. Si tratta di una porzione del sistema che si sviluppa nel Supramonte, in una zona che definirei “centrale”. Le due aperture da cui siamo passati si trovano nel Comune di Urzulei, all’interno del bacino idrografico del Flumineddu, sottobacino del fiume Cedrino.
L’ingresso da cui siamo entrati ha il nome di Grotta Luigi Donini. Se non sapete chi fosse, vi consiglio di leggere questo articolo su La Scintilena che ne parla.
L’apertura si trova sulla destra dell’alveo (asciuttissimo) della Codula Orbisi, a breve distanza dalla località Sedda ar Baccas, dove vi sono un paio di cuiles, di cui uno con il pinnetto accessibile e in ottimo stato. La quota dell’ingresso è di alcuni metri superiore rispetto al fondo della codula (alveo attivo effimero) e a vederlo non sembra proprio percorso da acqua, ma la roccia è ben levigata e sotto al primo saltino si trovano già detriti vegetali marcescenti, evidentemente portati dall’acqua. All’inizio non si percepisce alcuna corrente d’aria, ma se ne intercetta una debole poco sopra la seconda calata. Se ne va verso un cunicolo che non è quello da cui siamo entrati. La mia curiosità è stata necessariamente dominata perché non siamo venuti ad esplorare ma a fare una divertente escursione.

I primi metri percorsi nella cavità da questo ingresso sono comodi ma non ampi. Ci si trova evidentemente in un livello alto di una parte secondaria del sistema. Ma rapidamente si sbuca su una galleria che è segna di essere definita un collettore. Vi si giunge da sinistra e ci si cala al fondo atterrando in un laghetto, dove nemmeno io con la mia statura friulana toccavo il fondo (e a detta di Chicco Secci c’era pochissima acqua).
Leggi tutto…Un verso della celebre canzone di Bob Dylan è adatto per parlare di alcune cose che per noi speleologi sono un cruccio ricorrente. O meglio dovrebbero esserlo. Sta benedetta circolazione dell’aria!
Ne ha parlano millemila volte Badino, che ha pure scritto una bellissima monografia (Fisica del clima sotterraneo). Fatto sta che la circolazione dell’aria è veramente un grandissimo casino e ce ne rendiamo conto ogni volta che esploriamo grotte e studiamo monti con un po’ di attenzione.
Nella mia recente esperienza ci sono un paio di osservazioni che richiederanno un bel po’ di lavoro in futuro. La prima è relativa all’altopiano di Monteprato (Nimis, UD). La ormai (per me) famosa Grotta Sara (catasto FVG 7767) si apre a 470 m slm lungo il pendio che dall’altipiano digrada verso la sottostante valle del rio Montana. Siamo andati a controllare tutte le cavità già note sull’altopiano nella speranza di trovare un ingresso alto di questa interessante cavità, che evidentemente costituisce un antico drenaggio di grande importanza dentro il massiccio. Ebbene, il posto dove ci siamo andati più vicini è la Fr. 398 (catasto FVG 809), che si apre a 540 m slm. La cosa bizzarra è che in estate l’aria esce sia dalla Sara che dalla 398. Ovvero, l’ingresso che si trova 70 m più in alto è comunque “basso”. Ma non basta. Vagando fra le ondulazioni dell’altopiano si trovano una serie di altri buchi e buchetti. Quello che soffiano lo fanno d’estate. A questo punto uno pensa “che figata, l’aria deve arrivare dal monte che sta alle spalle dell’altopiano, ci saranno molti km di gallerie!”. Si, bella idea, ma in mezzo abbiamo trovato due strutture tettoniche che tagliano la strada e nel loro frullato di roccia sembrano non permettere il passaggio dell’aria. Da dove viene quell’aria? Cercheremo di scoprirlo.
La seconda megapippa mentale viene dalla Grotta di San Giovanni d’Antro, dopo l’individuazione del primo ingresso alto del sistema. Ingresso geograficamente alto che … soffia d’estate. In questo caso il dislivello fra l’imbocco storico della cavità e l’ingresso superiore è di 104 m. Durante una visita invernale al Ramo Destro della Grotta di San Giovanni d’Antro (vedi l’articolo A mollo), l’aria risultava in entrata, perdendosi in mille buchetti non mayabili, né accessibili, nemmeno per le nostre strettoiste ultrasottili. Nello stesso periodo l’aria gelida entrava dall’ingresso superiore appena le si lasciava la possibilità di farlo. Qua forse le cose sono più facili da immaginare, perché fra l’ingresso “geograficamente basso” e quello “geograficamente alto” ci sono certamente passaggi piuttosto stretti. Dal lato del Ramo Destro parliamo di fessure e buchetti, dal lato del Ramo Principale c’è un foro di sezione pari al mio torace e poco più. Non ho mai misurato quella sezione, non è che pretenda di essere un campione di misura standard, anche se per quanto mi riguarda è comodo. Se immaginiamo che ci sia un sistema piuttosto esteso a monte di quei restringimenti (e ne conosciamo quasi 4 km), riusciamo a capire perché l’aria preferisca passare dove apriamo la via comoda e ampia dell’ingresso superiore noto. I veri ingressi alti, intendo quelli che permettono la circolazione dell’aria, non sono noti e chissà dove sono! La grotta si sviluppa in un megastrato la cui estensione si spinge molto lontano e piuttosto in alto. c’è ampio margine per sognare.
Il discorso quindi richiama certi insegnamenti di Badino. La differenza di quota genera effettivamente una differenza di potenziale fra due ingressi e, se la circolazione è convettiva, osserveremo aria in salita in inverno e in discesa in estate. Ma ci sono punti ad elevata resistenza. Inoltre c’è un’altra cosa: l’acqua. Eh ma l’aria della grotta ha la temperatura media dell’aria … quale??! No. O meglio, si a certe condizioni, ma no in altre. Anche su questo fu Badino a ragionarci e introdusse un’idea che in molti casi spiega le osservazioni: la temperatura media delle precipitazioni determina quella della grotta. Non la temperatura media dell’aria. Perché?
Considerate che per aumentare la temperatura di 1 kg di aria umida da 19°C a 20°C servono circa 1 kJ. Per fare amentare allo stesso modo la temperatura di 1 kg di acqua sono necessari 4,187 kJ. Ovviamente non è così sempre, bisogna considerare una serie di altre cose, ma è un’approssimazione niente male. Attenzione, guardate che funziona anche al contrario. Per diminuire di 1K la temperatura di 1 kg di acqua, questa deve cedere 4,187 kJ a qualcos’altro. Quindi, se nelle nostre valli cascano 1600 mm di pioggia, ovvero 1600 kg di acqua per ogni m2 di terreno, e se supponiamo in modo arbitrario che metà di quell’acqua si infili nel sottosuolo, ci rendiamo conto di quanta cavolo di energia sia in gioco!
Sta cosa l’ho capita quando chiesi proprio a Badino: perché le grotte in zona Canin Orientale hanno una temperatura dell’aria attorno a 1,5°C se quella media dell’aria lassù è più bassa? In realtà non ho serie di misure, ma “avevo sentito dire” che la media dell’aria a 2m da terra fosse attorno a 0°C o poco sotto. La questione è semplice e GBad me l’ha fatta capire subito. È vero che con due ingressi aperti in inverno entri un sacco di aria freddissima dal basso e d’estate entri aria tiepida dall’alto, ma è anche vero che d’estate quando piove entra acqua con T > 0°C e quando fa freddissimo l’acqua è neve, che rimane lì fino a fusione, trasformandosi in un liquido la cui temperatura è circa 0°C. Non può scendere sottoterra dell’acqua la cui T < 0°C, perché è solida! Quindi immaginiamo sta enorme massa di acqua che transita per il sistema e tende a donare o prelevare energia da roccia e aria.
Si, ma i buchi pieni di neve in estate? Aspetta. Innanzitutto bisogna capire se sta neve in estate fonde o meno. Se lo fa, semplicemente sono accumuli da vento e/o valanga talmente grandi che il bilancio annuale fra accumulo e fusione è neutro o positivo. Ma quei posti dove l’acqua di fusione entra e congela perché l’aria della grotta ha T < 0°C? Beh, attenzione, quanta aria e acqua passano per quella grotta? Soprattutto, la grotta è parte di un sistema che ha due ingressi aperti tutto l’anno?
Perché la grotta potrebbe essere una trappola per aria fredda. Se fosse un “pozzo” il cui fondo è ostruito da detriti, un restringimento che fa ingolfare la neve, a quel punto l’aria relativamente calda che potrebbe risalire dalle parti profonde del sistema, non passa. Passerà da un’altra parte, dove fa meno fatica. A questo punto in inverno l’aria gelida e densa colerà dentro il nostro pozzo, accumulandosi al fondo. Arriva l’estate. Se non ci passa tanta acqua di fusione a 0°C né tanta acqua piovana che ha T > 0°C, nulla scalda l’aria gelida che si è “depositata” in fondo al pozzo. La poca acqua che percola da fusione ha 0°C, basta un attimo perché perda un po’ di energia e geli. Ovviamente la faccenda è più complicata perché d’estate piove e può entrare acqua decisamente “calda”, ma proprio questo ci aiuta a capire perché certi accumuli di neve e ghiaccio stiano scomparendo rapidamente.
Ad ogni modo, se ci chiediamo come sia fatto il sistema che abbiamo davanti agli occhi, la risposta è nel vento. Il casino è decifrarla.
Parlando di come uso il GIS per studiare le zone carsiche ho citato il caso in cui faccio una ricerca di avvallamenti (doline) usando una tecnica che potete trovare agli articoli Cercare doline con QGIS e Cercare doline – secondo metodo.
Il mio metodo si basa sul fatto che la Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia mi fornisce i dati necessari attraverso il proprio portale cartografico. Questo non accade per altre regioni e limita molto la possibilità di operare in questa maniera. Ad esempio, la risoluzione del DTM nelle aree interne della Sardegna, fino a l’ultima volta in cui l’ho scaricato, era insufficiente per questo tipo di lavoro. Allora che si fa? Beh, direi che non siamo in condizioni di commissionare dei voli ad hoc per la nostra attività, ma possiamo arrangiarci per zone molto piccole. Quello che vedete qui sotto è il mio primo DTM di una piccola porzione di una zona carsica che ho visitato perché ci stanno lavorando degli amici.
Ci pensavo da un po’, più per lavoro che per speleo (che è e rimane il mio hobby storico anche se molto serio), dopo averne parlato con Max Pozzo durante il seminario sui monitoraggi a Cala Gonone mi ero abbastanza convinto, ma sono lento e così ho aspettato l’anno nuovo per darmi una mossa. – Chi dice che trovarsi fra speleo e chiacchierare delle nostre passioni non serve, sbaglia. Le idee buone possono arrivarti da chiunque in quei frangenti e di solito è qualcuno con cui non avevi mai parlato prima.

Questa è la visualizzazione ottenuta creando un layout mediante QGIS senza tanti smussamenti e fronzoli. Di fatto ogni tessera del mosaico ha una dimensione di 5 cm di lato, ovvero la risoluzione è 10 volte maggiore rispetto al migliore DTM regionale a cui posso accedere! Se vi sembra tutto a cubetti è perché stiamo guardando dettagli minuscoli, fate caso alla scala.
Come ho ottenuto questo risultato? Ho utilizzato 21 immagini acquisite usando un UAS, ovvero un Unmanned Aircraft System. Detto in modo potabile: un drone. Il concetto di UAS è drone + controllo (da cui system) ma lasciamo perdere. Roba costosa? In realtà ho usato un UAS commerciale di massa al decollo inferiore a 250g, ovvero quello che non richiede addestramento specifico. È comunque registrato e io sono registrato come pilota, il drone è assicurato e deve rispettare tutte le norme di volo nazionali, per cui non potete volare dove vi pare, ma in questo caso ero in una zona dove ero libero di operare fino a 120 m dalla superficie.
Le immagini sono state acquisite da 12 m di altezza rispetto al punto di decollo, il che spiega la risoluzione molto elevata. In basso al centro vedete l’ingresso di una cavità, alla sua sinistra ci sono dei bitorzoli: gli zaini degli speleo e il pilota. L’elaborazione ha eliminato tutto ciò che ha riconosciuto come alberi e cespugli, per restituire la superficie del terreno (vero DTM) e non la superficie grezza in sé (il DSM).
Ho usato il software WebODM su un pc che ha montati 32 Gb di RAM e una scheda grafica dedicata con appena 4 Gb di memoria propria. Per poche immagini ci impiega una decina di minuti, mi fornisce DSM, DTM, nuvola di punti, ortomosaico (ortofoto) e un rapporto di qualità molto interessante. Il programma è open source, ma se non avete capacità o voglia di fare gli informatici, comprate un installatore che fa tutto lui. Io ho fatto così, non costa molto.
I limiti di sta cosa? Se andassi su a 120 m con quel sensore perderei molta risoluzione, ma potrei coprire zone più ampie facendo fino a 200 foto. Col mio computer non è pratico fare di più, perché devo lasciarlo elaborare mentre io non lavoro. Considerate che quel modello nella figura è derivato da 11.135.268 punti ricostruiti da fotogrammetria. Il ragazzo ha lavorato un bel po’ per fare tutti i calcoli. La vera sostanza è quella che vedete qui sotto: la nuvola di punti. A ciascuno di quei 1.135.268 punti sono associate proprietà come X, Y, Z, R, G, B.

Credo che con la mia Zanzara e il mio computer non riuscirò mai a coprire 1 km2 di zona carsica, ma il metodo è quello ed è piuttosto buono per studiare la morfologia superficiale di una zona ristretta che ci interessa. Da questo modellino ad esempio ho potuto misurare la direzione delle fratture stabilendo che ci sono almeno 3 gruppi distinti, fra cui uno N-S, uno E-W e uno che se ne va a 78° circa.
Opinione personale: ogni tecnica è solo una tecnica. Apre nuove vie, ma non deve essere fine a sé stessa. Le grotte si esplorano innanzitutto entrandoci, il resto aiuta, ma non può essere predominante.

Nel Ramo Destro della Grotta di San Giovanni d’Antro
Per trent’anni sono passati davanti all’imbocco del Ramo Destro, camminando di fretta lungo i marciapiedi (!!!) del tratto turistico della Grotta di S. Giovanni d’Antro. Complice il fatto che nuove verticali parallele al Camino Gibran finiscano a destra del principale in una zona dove non sono note gallerie, ho chiesto a Federico Savoia, che aveva esplorato il ramo negli anni ’70 del secolo scorso, di accompagnarmi a dare un’occhiata. Si sono uniti anche Roberto “Yoshi” Lava e il nostro presidente Umberto Sello.
Recuperate le chiavi dagli amici dell’associazione di Tarcetta, che gestiscono l’accesso turistico alla cavità, siano saliti ad Antro, per indossare le mute al solito piazzale dietro la chiesa. La temperatura, nonostante la giornata uggiosa, non era scoraggiante. Quindi su per la lunga scalinata in pietra e rapidamente fino all’imbocco del ramo.
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