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A mollo

febbraio 25, 2023

Nel Ramo Destro della Grotta di San Giovanni d’Antro

Per trent’anni sono passati davanti all’imbocco del Ramo Destro, camminando di fretta lungo i marciapiedi (!!!) del tratto turistico della Grotta di S. Giovanni d’Antro. Complice il fatto che nuove verticali parallele al Camino Gibran finiscano a destra del principale in una zona dove non sono note gallerie, ho chiesto a Federico Savoia, che aveva esplorato il ramo negli anni ’70 del secolo scorso, di accompagnarmi a dare un’occhiata. Si sono uniti anche Roberto “Yoshi” Lava e il nostro presidente Umberto Sello.

Recuperate le chiavi dagli amici dell’associazione di Tarcetta, che gestiscono l’accesso turistico alla cavità, siano saliti ad Antro, per indossare le mute al solito piazzale dietro la chiesa. La temperatura, nonostante la giornata uggiosa, non era scoraggiante. Quindi su per la lunga scalinata in pietra e rapidamente fino all’imbocco del ramo.

Anfibi (quasi) pronti per entrare in azione

Si trova più o meno a metà del tratto turistico e nemmeno ti accorgersi di lui se non sapessi che devi cercare una bassa rientranza a destra. Umberto ci fa notare che nonostante questo, il Ramo Destro è la parte “terminale” della grotta nel rilievo pubblicato su Grotte e Voragini del Friuli (De Gasperi, 1916), perché fu lì che andò Achille Tellini nel 1893. E il “principale”? Era sbarrato da una quinta di roccia che rendeva semi sifonante un laghetto; ciò che vediamo oggi è il prodotto di una disostruzione pesante eseguita dopo la pubblicazione. Quando dico “pesante” intendo metro cubi di roccia sbriciolata con esplosivo, ai tempi le disostruzioni “minime indispensabili” non erano contemplate.

Il Ramo Destro esordisce con un restringimento, assumendo subito la sezione triangolare che ha più o meno dovunque fino alla fine del tratto umanmente percorribile. Al restringimento, con una sezione < 1 m², la corrente d’aria è sensibile, cosa che non è tanto ovvia per un ramo che a volte è pieno di acqua fino al soffitto. O almeno così crediamo. C’è un piccolo mistero. Quando mi sono infilato nel restringimento sentivo l’aria sul volto, in uscita. Questo comportamento era del tutto incoerente con il fatto che stavano entrando da un ingresso meteo basso e la temperatura esterna era decisamente più bassa di quella interna. Quando ho sistemato in una nicchia il mio sacco con gli abiti asciutti, l’aria ha cominciato a entrare nel ramo, nel verso atteso, ed ha continuato a fluire in quel verso per tutta la mattina.

Un esame di dati di pressione e temperatura esterno non ha dato alcun indizio sulle cause di questo fenomeno, che avevamo osservato un paio di volte all’ingresso superiore, ma in presenza di vento forte, che era invece assente in questo caso.

I primi laghetti del ramo erano asciutti, fondo misto di ciottoli, ghiaia, pietre da crollo (piccole) e accumuli di sabbia e silt. Lentamente il soffitto della galleria si alza, o meglio il riempimento si abbassa, fino ad arrivare al laghetto che fermò Tellini. A esaminare i segni lasciati dall’acqua ci pare di capire che in molte occasioni resti poca aria fra la sua superficie e il soffitto. In questo caso la drammatica siccità 2022 – 2023 ha creato le condizioni ideali per noi.

La parte allagata inizia subito molto bene. Ho usato la macchina fotografica per girare video e non per scattare fotografie, quindi la qualità del fermo immagine fa schifo e non rende giustizia. In qualche punto il soffitto si abbassa e si riesce a tenere a malapena la testa fuori dall’acqua, probabilmente in condizioni “normali” in un paio di punti bisognerebbe cacciarla sotto per brevissimi tratti (intendo meno di un metro di micro sifone).

Prima di entrare in acqua abbiamo studiato bene il rilievo, che è più complesso rispetto a quello eseguito da Federico negli anni ’70, ma non troppo. Il Ramo Destro presenta una diramazione sinistra che si diparte a circa 20 m dall’inizio della parte stabilmente allagata, ma noi procediamo dritti per l’ampia (si fa per dire) galleria principale. Quest’ultima ha una direzione a 330° quasi costanti, fino a quando si va a “sbattere” contro qualcosa che imposta il passaggio in direzione quasi ortogonale. Si giunge a uno slargo, a sinistra una saletta completamente allagata, a destra un basso passaggio col fondo fangosissimo, che va in direzione 79° e ha sezione semicircolare. Ovviamente semicircolare è ciò che resta libero dal riempimento, nessuno sa come sia veramente fatta la galleria.

Il passaggio basso è molto breve e dopo allena 5 metri le cose tornano a cambiare. Innanzitutto l’acqua della galleria da cui siamo entrati scende ruscellando (portata modestissima) in una fessura orientata come la galleria principale. Quindi abbiamo attraversato un lungo laghetto che non solo è pensile rispetto al livello base del sistema (siamo ben alti sopra la presa dell’acquedotto che si trova sotto l’ingresso storico della grotta) ma addirittura è pensile rispetto a qualcosa che nessuno ha ancora mai visto. Ricordiamo che da qualche parte lì davanti e in basso c’è la grotta Desiderio, dove durante i periodi di abbondanza d’acqua si sente chiaramente il rumore del torrente sotterraneo.

Dalla parte opposta rispetto alla fessura che assorbe l’acqua la galleria si restringe e diventa molto alta. Una gran fessura allargata, si dirige dapprima verso 33° e poi piega per tornare a 335°. Stretta, alta e piena di fango al fondo, con evidenti segni che indicano un livello usuale dell’acqua almeno un metro più in alto rispetto al pavimento. L’aria continua a dirigersi verso l’interno, ma la corrente viene percepita appena, perché la sezione è fatta in modo da lasciare spazio sopra le nostre teste. Finiamo esattamente dove il rilievo indica una fessura da cui proviene acqua da sinistra. Non proviene nulla. Davanti a noi invece c’è una fessura, che in genere dovrebbe essere sommersa, dove c’è una pozzetta d’acqua limpida e ghiaia. Il fango sembra iniziare proprio dove ci dobbiamo fermare noi. L’aria sale in una serie di aperture troppo piccole per essere risalibili. Siamo da qualche parte a 7 – 8 metri a Est della sala Tellini, in una fessura che sembra perfettamente parallela alla sua parete orientale. La base del Camino Gibran è lontana da noi almeno 25 m e non nella direzione della fessura. Forse a una ventina di metri davanti a noi c’è la base del pozzo Meraldo, la stesura definitiva delle poligonali di rilievo ci dirà come stanno le cose. Ma non si passa. Solo l’aria se ne va e ricordiamo che pure l’ingresso di Ialig è meteo basso. Tutto è talmente stretto e gli ingressi superiori veri sono tanto tanto lontani. Oltre riempimenti e fessure non superabili? Chi lo sa?!

Ho iniziato a girare in questa grotta nel 1990 e ho ancora più punti interrogativi in mente che risposte. È il motivo per cui ci torno.

Anfibio evidentemente sporco e soddisfatto

Nella saletta allagata a sinistra, al cambio di direzione, l’acqua è più pulita. Ci arriva un cunicolo che proviene dalla diramazione sinistra da noi ignorata in precedenza, dall’aspetto stretto e non molto mayabile, per cui mi immergo alla ricerca di un sifone dalla parte opposta, sperando di trovare ciò che non avevano visto i precedenti esploratori. Nulla. A parte che siamo in tre sporchi di fango e l’acqua diventa subito caffelatte (vedi la foto qui sopra), il fondo è ghiaioso e la ghiaia sale fino a tappare la fessura in cui tento di avventurarmi. Nulla, solo concrezioni in degradazione sulle pareti. Torniamo indietro.

Nella diramazione a sinistra Federico dice di avere sentito l’acqua scorrere e avere visto, oltre un restringimento, un’altra pozza. Mi intrufolo. Trovo il bivio da cui si diparte il cunicolo che porta alla saletta vista più a monte. All’estrema sinistra il passaggio è scomodo ma mayabile e oltre il restringimento si scende. L’acqua esce dal deposito di ciottoli e ghiaia, alimentando la pozza vista da Federico. Intanto dietro di me Yoshi va verificare una possibile prosecuzione ancora più a sinistra, che pare chiudere. La pozza che ho di fronte … hei, ci sono due cavetti elettrici con guaina rossa! Sembrano cavetti interni di un cavo più grande. Entro in acqua e avanzo, il soffitto si abbassa, indosso maschera e tubo e mi semi-immergo. Nel senso che io sono sott’acqua e ma il tubo preleva aria dal soffitto. Il fondo è pulito, roccia e ghiaia. Ma la ghiaia infine sale, sale e mi fa uscire in una fessura sbarrata da un piccolo masso di crollo. Non è mayabile. Penso che Rosa ci passerebbe tre volte, ma io no. Nella strettoia c’è un frammento di cavo guaina grigia da cui sporgono cavetti a guaina rossa come quelli trovati più indietro. Sono molto vicino alla sala Lazzarini e alla zona in cui il torrentello del Ramo Principale perde l’acqua. È assai probabile che questo sia uno dei canali che veicolano l’acqua in piena, trascinando con sé i cavi stesi chissà quando verso la sala Tellini.

Torno indietro e raggiungo gli altri due anfibi, quindi raggiungiamo Umberto all’inizio del tratto allagato e ci dirigiamo verso la parte turistica del Ramo Principale, dove sostiamo brevemente a esaminare le scritte sulle pareti della grotta. Molte scritte sono il prodotto di atti di vandalismo vero e proprio, ad esempio quelle fatte da Tizio pochi anni fa per lasciare traccia indelebile dalla sua stupidità. Altre sono storiche e preziose. Ad esempio la scritta “Telin” che abbiamo identificato come la firma lasciata da Achille Tellini nel 1893 per marcare un limite esplorativo. Il Tellini era arrivato qui superando i laghetti, all’epoca tutti pieni, che oggi ignoriamo tranquillamente camminando sul marciapiede dell’adattamento turistico. Per farlo avevano portato in grotta una barca smontabile, versione ottocentesca del nostro canotto, che oggi campeggia nello stemma del Circolo Speleologico Idrologico Friulano. Il CSIF in effetti nacque 4 anni dopo quella punta esplorativa e Tellini non fu uno dei fondatori, ma venne chiamato a esserne il primo Presidente. Fatto che rende interessante la foto che segue, in cui l’attuale Presidente del Circolo contempla la scritta fatta dal primo storico Presidente.

Il Presidente contempla la scritta lasciata dal primo Presidente

L’uscita si conclude con una rapida immersione con bombola da parte di Yoshi nel laghetto “del canotto”, dove immaginiamo di trovare molti rifiuti, o meglio attrezzatura speleologica caduta accidentalmente in acqua durante tanti anni di frequentazione. Recupera un po’ di ferraglia, ma meno di quanto immaginassimo. Mettendo la testa sott’acqua per filmare il subacqueo in azione mi sembra di percepire una temperatura decisamente inferiore a quella del Ramo Destro, ma forse è solo un’impressione.

Cosa abbiamo imparato? Innanzitutto che non sembra esserci molto da esplorare oltre a quanto già rilevato. La circolazione dell’aria nel Ramo Destro è quella attesa (salvo quel minuto anomalo) per un sistema di gallerie che va da un ingresso meteo basso verso uno meteo alto. La speranza di avvicinarci alla base del pozzo Meraldo è decisamente vana, quindi è necessario lavorare proprio lì, alla base del pozzo, o in qualche altra verticale parallela, per capire se a monte del Ramo Destro ci sia effettivamente qualcosa di grosso e non allagato. I presupposti ci sono tutti, ma solo cercando ed esplorando lo sapremo.

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