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Il Buco

febbraio 1, 2023

Finalmente sono riuscito a vedere il film “Il buco” diretto da Michelangelo Frammartino, che ha generato molto entusiasmo all’interno della comunità speleologica italiana e ha ricevuto molto apprezzamento da parte della critica cinematografica.

La storia è quella dell’esplorazione del 1961 all’Abisso del Bifurto, nel versante calabrese del massiccio del Pollino. Gli esploratori furono speleologi del Gruppo Speleologico Piemontese, di Torino, che raggiunsero la profondità massima di 683 m dall’ingresso.

La ricostruzione della situazione è eccellente: abiti, equipaggiamento, tecniche, il lungo viaggio, il campo in pesanti tende militari, tutto richiama i racconti che mi fecero mio padre e i suoi compagni, relativi ad altre spedizioni degli anni ’60. Un’immersione completa in un mondo, speleologico e non, che noi giovani (cinquantenni) non conosciamo. Anche il paese dove fanno tappa gli speleo è ben curato, senza antenne tv sui tetti, non si vedono cavi in giro, è cura dell’ambientazione.

I luoghi sono splendidi, la fotografia un po’ oscillante, a tratti molto buona, altre volte meno (non so perché). Molto buono il lavoro fatto per non esagerare con l’illuminazione aggiuntiva in grotta: abbiamo l’impressione di vedere tutto con le luci portate dagli esploratori, esattamente come siamo abituati a fare noi speleologi. La grotta illuminata in ogni angolo, quella dei film ollivuddiani, non esiste proprio.

Bella l’idea del parallelo, del viaggio che viene compiuto dagli speleologi e dall’anziano pastore, verso le rispettive conclusioni del percorso.

Il film mi ha saputo dare alcune sensazioni che provo in grotta. Ho quasi percepito il freddo e l’umidità, la curiosità di sapere cosa ci sia in quel nero qualche metro davanti a me, la gioia di scoprire che “continua” e la breve strizza che ti prende quando inizi a scendere un pozzo di cui non vedi il fondo con la tua lampada. Purtroppo la lentezza ha fatto si che provassi altre due sensazioni frequenti in grotta negli ultimi anni della mia vita: noia e disagio. Peccato. Ma d’altro canto, rendere l’idea della lentezza della progressione non è banale. Nei film ollivuddiani si vedono umani fare cose pazzesche in pochi secondi. La verità è che impieghiamo quasi un’ora ad attrezzare un pozzo e anche percorrere cinquanta metri di gola sotterranea mai vista prima è cosa che richiede tempo, soprattutto se cerchiamo di evitare di bagnarci. Perché bagnarsi e fare un giro su e giù per 683 metri, con le tute di cotone di allora, non è proprio il massimo. E il disagio ci sta pure. Spesso sono a disagio in grotta, il film mi ha catapultato dentro il Bifurto e ho provato disagio, la voglia di vedere il cielo blu e il sole, che combatte con la voglia di scoprire cosa ci sia nel buio e disegnare la mappa di terre incognite.

Direi molto speleologico.

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